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Porto Venere – Pasqua: prima esperienza in barca a vela.

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E’ vero è vero, è un po’ che non scrivo, ma non vi ho abbandonato!
E’ che l’esperienza marinaresca è stata davvero sorprendente: mi son portata a casa così tante emozioni, sensazioni, aneddoti, vicende, vissuti e risate da non riuscire a trovare il modo per sintetizzarli come mio solito in qualche riga di blog.Il fatto è che, sebbene mi aspettassi un’esperienza fuori dalla mia solita quotidianità, non mi aspettavo però nulla di così incredibile.
Amo il mare e questo direi che si è capito, soprattutto dopo averlo apprezzato, come prima esperienza su una vela, in un we tanto brutto meteorologicamente.

Il venerdì parto da casa dei miei, nella tranquilla provincia lombarda, provvista di sacco a pelo e trolley pieno di tutto quello che mi sarebbe potuto servire.
Arrivo a Milano di corsa, con le borse e il trolley che mi scivolavano dalle mani ogni secondo. Corro in casa e mi metto a preparare il borsone per la vela.
Troppo ottimista nello scegliere il mio mini-borsone della murphy. Ok, fa molto vela, ma non ci sta un tubo.
Preparo i vestiti sul letto. Provo a metter le cose nel borsone. Sono le 16.30, mancano un paio d’ore, mi devo ancora fare la doccia e la situazione è critica. Provo e riprovo. Alle 17 scopro che la Dea (mia compagna di cabina, mai vista prima, ma conosciuta telefonicamente la sera prima) porta la cerata completa. E’ prevista pioggia ed è ragionevole.
Mi viene in mente che forse forse non sarebbe proprio una cattiva idea portarsela. Ma mi manca la salopette che, ottimisticamente, non avevo comprato.

Chiamo il negozio HM in precotto. Hanno le taglie. Corro. alle 17.45 son di nuovo a casa, con la mia carta di credito nuovamente strisciata per benino e una salopette nuova nuova da infilare in valigia. Una cosa in più che fa spessore!!!!!
Rifaccio la borsa per l’ennesima volta (se non son precisa non va bene ) e ci faccio stare il minimo indispensabile, comprese le scarpe. Mi sento un mito, considerati i miei standard! Andre mi citofona. Doveva passare per un salutino alle 18.15, poco prima della partenza. Mi devo ancora infilare le scarpe, sembro una terremotata, ma va bene così.
Scendo e mentre sono in ascensore mi squilla il cell “Ciao sono alberto, senti lo so che l’appuntamento è alle 18.30, ma…ecco… noi siam già tutti qui. Quindi se per caso sei già pronta, ecco… noi stiamo aspettando te”. Mi piglia l’ansia!

Cazzarola, per una volta che son pure in anticipo, mi fan sentire come se fossi in ritardo!!! Vabeh, faccio x uscire di casa e il cell risquilla “Senti scusa, sono ancora Alberto. Stavamo pensando che siccome abbiam caricato tutto e siam pronti, se vuoi, ti veniamo a prendere, così non ti facciam fare la strada con le valige!”. Declino l’invito che è un chiaro segno per dirmi di muovere il mio culone grasso molto velocemente verso di loro.

Andre si propone per portarmi il borsone (non che fosse pesante eh!!) e si prodiga, accudente, per rassicurarmi. E tra una cosa e l’altra, non esattamente chiare, nel saluto, lo bacio. Il perchè io a volte compia azioni senza il benché minimo senso ormai non ce lo si chiede più, a volte credo solo che il mio mononeurone abbia qualche défaillance che fa si che si spenga tragicamente, facendomi compiere le azioni più assurde e inspiegabili, normalmente mediate dal prevalere dell’ormone gigante che, con tanto di braccine e gambine, va dritto dritto per la sua strada senza porsi alcun perchè.
E così, conosciuti i due sconosciuti (alberto e gioacchino), attendiamo l’altro alberto e partiamo.
L’aneddoto curioso riguarda il secondo alberto (lo skipper). Arriva nel parcheggio di lambrate mentre io ancora con la manina sventolante, saluto andre che si allontana velocemente. Mi giro e vedo alby scendere dalla sua auto e dire “Ciao ragazzi, sono alberto. Che bello avervi trovato. Pensavo di farmi il viaggio da solo! Io devo x forza scendere con la mia auto perchè tra le varie cose ho nel baule il salpa-ancora per la barca”. Lo guardo, guardo gli altri due e con gesto atletico, propongo di dividerci in due auto e ovviamente, di fargli compagnia. Ma l’altro alberto, immaginandosi già un viaggio solitario con gioacchino (personcina alquanto stranetta), mi batte sul tempo e propone di andare tutti con una sola auto.
Viaggio incredibile: sms a profusione di chi, rimasto a casa, ancora si chiedeva il perchè e il percome di un bacio tanto inaspettato.

Acqua… tanta acqua… e vento… e la cisa con un freddo bestiale.
Arriviamo finalmente a portovenere al porto. Ci accostiamo in auto alla banchina e un onda ci schiva per un pelo. “Forse è meglio che parcheggi un po’ più indietro”, dice alberto. Forse è proprio meglio di sì.
Scansando le onde arriviamo all’elettra, ristorantino del porto, dove martina (skipper istruttrice) con le sue allieve, sta cenando tranquillamente.
Vento… vento e ancora vento.
All’alba dell’una ci siamo tutti. Anche quelli del secondo gruppo milanese sono arrivati. Bisogna salire in barca e portar su anche i bagagli.
Le svizzere hanno un trolley “morbido” di dimensioni epocali, tipo traversata del deserto. Dea non è da meno con un borsone tre volte il mio, nero lucido tipo “lattice”.  Non esattamente bagagli da barca a vela insomma. Mi consolo, per una volta non son quella che si fa riconoscere per le super-valige!!
C’è mareggiata forte, al porto ci dicono che non la vedevano così da 50 anni. Inizio a preoccuparmi seriamente.

Le barche, Appassionatamente e Filavia, sono sballottate a dismisura e gli ormeggi danno segni di cedimento. Mentre tentiamo di salire si rompe un ormeggio di Filavia, scoppia un parabordo, insomma… di tutto. Per non parlare di come diavolo ci si sale!

Ci dicono che bisogna passare velocemente dalla banchina alla barca, passando su di un’asse di legno, appoggiata in modo notevolmente precario, aspettando l’onda giusta e cercando di non farla cadere in acqua.
Ma il mare è davvero mosso e l’asse cade ripetutamente. E non si può nemmeno salire direttamente sulla nostra barca! Bisogna salire su un’altra e poi, aspettando l’onda, passare da una all’altra, quando le barche si avvicinano tra loro. Mi viene un po’ di panico. Sembra giochi senza frontiere.
Una coppietta di fidanzatini opta per l’albergo e non trovandolo, torna a Milano. E per fortuna che loro sapevano già andare a vela! E io??? Che cosa diavolo devo fare io?

Tento la cosa, non son convinta ma non c’è l’alternativa. Passo sulla prima barca, al buio della notte, col sonno, la stanchezza e la paura. Il passaggio da una barca all’altra, in quelle condizioni di mare, risulta critico. “Metti i piedi fuori tenendoti in basso qui… poi quando le barche si avvicinano, salti di la”, dice martina tranquilla. Vedo l’acqua del porto… nera, fredda e mossa… non è invitante. Predo un respirone e ci provo. Resto in bilico tra le due barche per qualche secondo e alla fine salto sul filavia. Finalmente!

Inizia l’avventura.

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